La Lazio che ha fatto la Storia su Internet di Vincenzo Cerracchio
ROMA (6 dicembre) -
Centoundici anni dopo, è il caso di dirlo, la leggenda può farsi Storia. Nomi, date, professioni, intrecci, motivazioni: ora sappiamo esattamente come e perché sia nata la società sportiva che si chiama Lazio, e chi siano i nove che l’hanno materialmente fondata.
La leggenda di Piazza della Libertà, della fatidica panchina di pietra che affacciava sui prati degradanti lungo il Tevere, dello spirito olimpico che portò Luigi Bigiarelli, figlio di un sergente della Guardia Pontificia e poi egli stesso sottufficiale dei Bersaglieri, a scegliere con i suoi amici podisti proprio quel nome e i colori bianco e celeste della Grecia, è più o meno patrimonio ideale di tutti i laziali.
Ma grazie al lavoro appassionato dei ricercatori di LazioWiki, sono emersi negli ultimi mesi una serie di particolari che ribaltano i luoghi comuni e rendono giustizia a quella che all’epoca, esattamente all’alba del secolo scorso, era davvero la “meglio gioventù” romana.
Core de Roma. Luigi Bigiarelli, come il fratello minore Giacomo, era nato a Borgo Vecchio 16, a un passo dal Vaticano. Poi abitò a Vicolo degli Osti, dietro piazza Navona. Odoacre Aloisi al Flaminio. Giulio Lefevre in via Bocca della Verità.
Tutti romani all’anagrafe anche gli altri cinque, Arturo Balestrieri, Alceste Grifoni, Galileo Massa, Alberto Mesones, Enrico Venier (che vinse il primo campionato italiano di pallanuoto nel 1901). Studenti, lavoratori, appassionati di tutti gli sport, campioni di atletica, canottaggio e nuoto. Sei di loro sono sepolti a Roma. Ora ne siamo certi, perché LazioWiki è riuscita a rintracciarne perfino le tombe, ormai abbandonate e annerite dal tempo, e a ornarle con fiori biancocelesti per onorare la memoria di quei pionieri del 1900.
Servito chi ancora credeva a un origine “non cittadina” di quella che fu denominata nello statuto SP (società podistica) Lazio.
Poveri ma belli. Un’èlite borghese? Altra banalità.
Odoacre faceva l’impiegato alla Regia Prefettura per mantenersi agli studi, che lo portarono a diventare in seguito commissario di polizia. Arturo era un semplice ragioniere ma sapeva l’inglese, visto che poi arrivò a tradurre un libro sulla pallacanestro che fece conoscere in Italia questo sport allora non praticato. Giacomo un commerciante, soldato di leva di 3^ categoria.
Alceste uno studente, che poi sarà capace di scalare la Regia Marina fino a raggiungere il grado di Ammiraglio. Giulio un agronomo. Galileo uno scultore. Luigi, come detto, un militare, scampato alla tragica battaglia di Adua in cui furono uccisi dagli etiopi del ras Maconnen più di cinquemila soldati italiani. Tutti si ritrovavano su un barcone ancorato sotto Ponte Margherita, il cui gestore offriva per allenarsi qualche scafo malconcio scartato dai circoli tiberini più ricchi. O, di fronte, al “Bagno Talacchi”, roba da classi meno abbienti, verrebbe da dire. Il barcone sotto i giardini di piazza della Libertà, quella della famosa panchina, era chiamato per la sua modestia Pippa Nera, forse deformazione sarcastica del prestigioso Circolo Remiero Nera. L’orgogliosa umiltà delle origini sarà più avanti ribadita, vista l’esiguità delle quote che gli atleti biancocelesti potevano permettersi di versare, dalla necessità di vendere perfino i trofei fin lì conquistati.
Lo sfondo politica. E il ribaltone continua. Pochi sanno che la SP Lazio non ebbe inizialmente un presidente. Bigiarelli pensava ragionevolmente lo sport come uguaglianza fisica, sociale, intellettuale. Fratellanza e universalità: anche se sarebbe azzardato dare una connotazione politica “socialista” allo statuto del 13 gennaio, composto da 21 regole che sono un inno allo sport puro.
Niente cariche onorifiche allora, una sorta di uno per tutti e tutti per uno. E la curiosità è che la notizia della fondazione, datata come noto 9 gennaio 1900, fu riportata il giorno dopo (strano per quei tempi in cui non esistevano pagine sportive) dal Messaggero (e solo dal Messaggero) che allora era considerato di area laica, molto attento ai disagi delle classi più povere della popolazione, e con venature filosofiche vagamente massoniche. Una sorta di velina, chiamiamola così. A conferma ulteriore che la Lazio non è mai stata, fin dall’origine, come banalmente si crede, un’espressione della ricca borghesia romana.
Nati per vincere. Nel 1900 esistevano a Roma altre società sportive, dalla Ginnastica Roma alla Liberi Nantes. Fra la collina di Monte Mario e la sponda destra del Tevere c’era l’ampia spianata di Piazza d’Armi dove di pomeriggio atleti di tutte le discipline e di tutte le estrazioni sociali potevano allenarsi fianco a fianco. E poi c’era il fiume per il canottaggio e allora anche per il nuoto.
Luigi Bigiarelli, detto “er puntale” per la barbetta aguzza, era conosciuto a livello nazionale perché si fece fra l’altro la massacrante Roma-Firenze di podismo in 67 ore. E la Gazzetta dello Sport lo ricordò, nel comunicarne anni dopo la scomparsa, come campione del mondo di marcia sull’ora e sui 30 Km proprio con la maglia della Lazio.
E’ sepolto in Belgio, dove morì. Ed è lì che i nostri appassionati si sono ripromessi di continuare le ricerche.
Ma torniamo alla storia. Per partecipare al Giro di Castel Giubileo, fissato per il 21 aprile Natale di Roma, il regolamento prevedeva l’iscrizione a club sportivi ufficiali. I nove amici, accompagnati da altri più giovani ancora, non ebbero altra scelta che costituirne uno nuovo di zecca gestito da loro stessi. La prima sede sociale fu la casa Bigiarelli al Rione Parione. E fu composto perfino un “Inno alla Lazio” che Arturo Balestrieri eseguiva con la sua ocarina all’ingresso dei nuovi soci in quella che sarebbe diventata, ai giorni nostri, la Polisportiva con più discipline in Europa. Quei ragazzi, neanche a dirlo, vinsero la medaglia d’oro a squadre a Castel Giubileo.
E portarono il calcio a Roma (col pallone di cuoio “esportato” da Bruto Seghettini) disputando il 15 maggio 1904 la prima partita mai giocata a Roma, Lazio-Virtus 3-0, proprio in Piazza d’Armi. Dei fondatori Odoacre faceva il portiere, Arturo in mezzo al campo, Alceste era un difensore sinistro. Sante Ancherani, il più patito di calcio, segnò quella leggendaria tripletta. I fratelli Bigiarelli si erano già trasferiti in Belgio per intraprendere il commercio di famiglia nel settore agroalimentare. Ma dietro di loro già emergevano i pionieri che della Lazio avrebbero continuato la leggenda, da Tito Masini a Olindo Bitetti. Ad Augusto Faccani, grossista ortofrutticolo, protagonista nel 1907 della storica vittoria di Pisa, quando nel giro di 8 ore, la Lazio sconfisse di fila Lucca, Pisa e Livorno, senza subìre gol e conquistando la coppa Interregionale: Augusto morì investito nel ’44 da una camionetta militare americana. Fino a Mario Levi, eroe di guerra, e ad Alfredo Torchio, che negli anni ’20 divenne lo storico massaggiatore di generazioni di atleti, rigorosamente vestiti in bianco e celeste. La Lazio che ha fatto la Storia.
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